Se Giovan Battista Piranesi può essere considerato un cantore della Roma della metà del Settecento, e Bartolomeo Pinelli e Giuseppe Gioachino Belli quelli che invece raccontano la Roma a cavallo tra il Settecento e la prima metà dell’Ottocento, certamente Ettore Roesler Franz può essere considerato l’artista che con maggiore pervicacia, amore e dedizione si dedica a narrare la Roma post – unitaria, in trasformazione. 120 acquerelli divisi in 3 serie di 40, che coprono un arco di tempo che va dal 1878 al 1896, descrivono una Roma che in una manciata di anni sta cambiando radicalmente pelle, e per far questo cancella a colpi di piccone interi angoli, quartieri, realtà con le storie e la vita degli uomini che li animavano e li riempivano di senso.
120 acquerelli stupendi ed emozionanti, di grande formato, carta e colori personalmente scelti e richiesti da Roesler Franz in Inghilterra.
L’acquerello tecnica difficilissima padroneggiata con estrema bravura per poter narrare non solo della città che cambia, ma dei riflessi delle acque, quelle del fiume e quelle delle pozzanghere che si formavano nelle strade della Roma di fine Ottocento dopo la pioggia o delle acque che entravano con vigore nelle strade della città dopo un’inondazione del Tevere, costringendole a diventare vie d’acqua praticabili solo con barche, e dei colori del cielo primaverile o autunnale, e delle mille sfumature delle pietre antiche e moderne della Città Eterna.
Senza gli acquerelli di Roesler Franz mancherebbe la possibilità di ricostruire a mente i luoghi, di confrontare quelli attuali con quelli passati per verificare quanto e se sono cambiati. Un gioco sul filo della memoria che è lo stesso artista a prefiggersi e a dichiarare, quando dice a proposito di questa collezione che egli stesso intitola della “Roma Sparita” o ancora meglio “Roma pittoresca/Memorie di un’era che passa” che “dovrebbe essere posta in una sala speciale con una grande carta topografica della vecchia Roma in cui io darei indicazioni dei luoghi dove sono stati ripresi i quadri e questo faciliterebbe gli studiosi delle future generazioni nel capire quale era l’aspetto di Roma prima dei presenti mutamenti”.

Da questi dipinti di grande dimensione, così come dalle numerose foto seppiate, emerge non solo l’amore per la città e la gente che la abita e la vive, ma soprattutto la consapevolezza che dopo nulla sarà come prima, e che è un intero mondo che sta per scomparire e che non sarà possibile più tornare in dietro. Ed è forse proprio per questo che alcuni luoghi vengono ripresi con caparbietà più di una volta e sotto varie angolazioni, che viene, per la prima volta nella storia artistica della città, ripreso il Ghetto Ebraico e la sua minuta vita quotidiana.
La vita quotidiana è poi l’altro soggetto principale di questi dipinti. E’ solo così che si può avere contezza di come vestissero e vivessero i Romani di fine Ottocento.
La città è attraversata da donne con le gonnellone lunghe e il cappello in testa, con il cesto della spesa al braccio che tengono per mano il bambino vestito alla marinaretta che porta con sé il gioco del cerchio. Queste donne si muovono nelle stesse vie di quelle che portano in testa il cesto con la frutta o la verdura o delle monache con il capello a larghe tese ripiegate o di quelle che battono in strada i tappeti del cardinal Nardini, o di quelle che nel Ghetto cuciono le pezze di stoffa usate che daranno vita ai meil, le stoffe che copriranno la Torah. E gli uomini sono barcaroli, o pescatori, o pescivendoli, o mugnai, o spingono o guidano carretti, o trasportano sacchi.
Insomma una città viva e operosa, continuamente in movimento, in cui si ha la percezione netta che non si è ancora realizzata quella cesura precisa tra borghesia e proletariato che caratterizzerà la Roma dagli inizi del Novecento in poi.
Ma Ettore Roesler Franz è stato molto altro.
Uomo colto e poliglotta, parlava correntemente francese, inglese e tedesco oltre che l’italiano, fu un punto di riferimento importante per la vita intellettuale della città di Roma, diventando ad esempio un amico fraterno di John Keats.
Si fece promotore e fondatore dell’Associazione degli Acquarellisti Romani, che organizzò la prima mostra collettiva degli artisti aderenti nel 1876.

Con la fondazione di detta Associazione Roesler Franz voleva far si che all’acquerello, da sempre considerato tecnica pittorica minore, venisse riconosciuta pari dignità delle altre tecniche pittoriche. Nonostante i suoi sforzi però nella primavera del 1880 inviò una lettera a Luigi Bellinzoni, prima critico d’arte e poi direttore del quotidiano “Il Popolo Romano”, lettera che fu pubblicata proprio su questo giornale e in cui si legge “Mio caro Bellinzoni, ho letto con piacere nella Tua Rivista artistica di stamane le giuste osservazioni per la poca o niuna considerazione nella quale si tiene l’acquerello nell’esposizione di piazza del Popolo. È veramente deplorevole che, dopo lo sviluppo che ha preso in Roma questo ramo della pittura, si debba ancora considerarlo come un ninnolo dell’arte ed assegnargli in tutte le esposizioni l’ultimo posto. Quanto a quella di piazza del Popolo è poi doppiamente doloroso che per rispondere alle premure del benemerito presidente uno s’induca a mandarvi i propri lavori per vederli poi esposti in una luce che non è luce e in un ambiente nel quale la miglior cosa che possa farsi è di fuggir via per non prendere un reuma od altro malanno e per la mancanza di quegli allettamenti di cui tu hai già fatto parola che si risolvono poi anche in sagrifici maggiori per gli esponenti che si vedono svanita ogni probabilità di vendita. Nella tua rivista hai trovato ben poco di apprezzabile fra gli acquerelli. Il tuo compito era però difficile! Giacché se quei lavori piuttosto che attaccati fossero esposti, chi sa che non vi avresti trovato anche degli altri meritevoli delle tue osservazioni? Tu sai quanto io abbia fatto e faccia affinché l’acquerello prenda un posto notevole fra noi, come lo ha di già altrove.

Ti sarò perciò sempre più grato ogni qualvolta ti adopererai per togliere certi pregiudizi, che pur troppo dominano ancora il campo. Ti stringe la mano il tuo amico Ettore R. Franz”.
Ma l’attenzione di Ettore Roesler Franz non è limitata solo città di Roma, ma da subito il suo interesse si estende anche al Lazio, dedicandosi a raccontare Tivoli, Villa d’Este e Villa Adriana, tanto che diventerà cittadino onorario di Tivoli, e Subiaco diventando anche in questo caso testimone di una memoria di luoghi e di vita che stanno per scomparire.
Il racconto della vita di Ettore Roesler Franz, ma non solo da pittore, è oggi pubblicata dalla casa editrice napoletana Intra Moenia, per la firma di uno dei suoi pronipoti: Francesco Roesler Franz. Da essa Ettore Roesler Franz emerge come una persona concreta pienamente inserita in un preciso contesto storico, sociale e familiare. L’uomo innanzitutto, che con le sue timidezze rinuncia a costruirsi una famiglia per potersi dedicare in maniera completa alla sua arte, ma anche l’intellettuale che tra Roma e Tivoli si confronta ed entra in relazione con altri intellettuali che significativamente segnano il passaggio tra Ottoccento e Novecento: da Goethe a Liszt, da Wagner a Gregorovius. La peculiarità di questa biografia romanzata, di Francesco Roesler Franz, è quella di riuscire a restituire un quadro completo, che non è solo comprensivo di quei 120 acquerelli che fanno parte della serie “Roma Sparita”, ma che attraverso Ettore Roesler Franz ci restituiscono una dimensione più corale, una dimensione che Roesler Franz condivideva, infatti, con un’intera generazione che stava per la prima volta sperimentando sicurezze, incertezze, punti di forza, vittorie e sconfitte del giovane stato unitario e della sua politica. Un momento che, per la sua natura e la sua posizione nel corso della storia, non sarebbe mai più ritornato.